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La sinistra perduta tra i diritti civili che non parla di lavoro: dietro a parole vuote, mancano le riforme

 

di Marco Bentivogli

 

L'occupazione nell'agenda politica è una nicchia su cui si ripetono le parole “precariato, salario minimo e lavoro povero”. A mancare sono riforme degne

di questo nome

 

Circa un anno fa, invitato da un partito di centro sinistra, ho partecipato come relatore ad un'iniziativa sul lavoro. C'era tanta gente. Il dirigente locale regionale concluse la serata dicendo “è un grande risultato che su un argomento così ‘di nicchia' come il lavoro abbia partecipato tanta gente”. Magari quelle parole gli saranno scappate ma è esattamente la collocazione che il lavoro ha nell'agenda politica, una nicchia su cui si ripetono parole, “precariato, salario minimo, lavoro povero”. Come ha ammonito qualche anno fa il Presidente Mattarella tutte le forze politiche hanno avuto l'opportunità di esercitare ruoli di governo e quindi di fare la loro parte testando le loro idoneità a prestare attenzione alla questione e risolverne i problemi. Se è vero che si è indebolita la funzione storica della sinistra, ovvero la sua capacità di essere protagonista delle battaglie contro le disuguaglianze, anche un riformismo senza coraggio non ha nessuna possibilità di ricostruire né un'idea né un progetto contemporaneo di sinistra.

Su lavoro, industria, innovazione e scuola non ci sono state le riforme degne di questo nome. Abbiamo il mercato del lavoro più diseguale e polarizzato d'Europa. Brindiamo al 62% di tasso di occupazione ma la media europea è al 75%. Abbiamo ministri che in meno di cinque anni, con la stessa arroganza, propongono leggi e la loro abrogazione in nome di prospettive salvifiche prima e di nemici astratti poi. Una schizofrenia che tradisce incompetenza e superficialità su quello che dovrebbe essere il “tema dei temi” del nuovo riformismo. Il riformismo si associa al “centrismo”, alla moderazione, addirittura all'equidistanza tra destra e sinistra. Il riformismo non è una cultura politica qualsiasi, è soprattutto un metodo a cui corrisponde una “postura”. Non ha sentimenti e passioni tiepide, sa che la politica è rappresentanza e capacità di dare forma e contenuto anche al disagio e alla rassegnazione. Ha un rapporto intransigente con la realtà e la propria aspirazione a migliorarla. Un riformista non se la racconta. Non sorvola i problemi profondi del paese con la retorica della lista della spesa.

Il riformismo è un metodo che non consente la banale evocazione di guai e di princìpi, ma impone la necessità di maggiore intransigenza proprio sulla concretezza delle iniziative. La funzione storica della sinistra relativa alla capacità di lotta alle disuguaglianze è ammaccata. Le analisi spostano l'attenzione

Sui diritti civili come unica lente con cui vedere la realtà. Non esiste più chi lavora, chi non ce la fa, chi non ha più nessuno a cui appoggiarsi. E le “parole d'ordine” di oggi ricordano il fanatismo reazionario. Sono gridate, senza imbarazzo, nel desiderio di essere considerati “estremisti” tradendo soltanto una profonda ignoranza, incoraggiata da genitori e intellettuali vecchi ma ancora non adulti. Dopo il populismo, il “wokismo” prepara la strada alla peggiore destra.

Non possiamo avere nostalgia di nessun settarismo. Probabilmente l'unica sinistra che forse conquisterà il Governo quest'anno è quella dei laburisti di Keir Starmer, che non a caso la sinistra woke definisce un “destro”. Soltanto perché si occupa delle periferie e della sicurezza della working class, di qualsiasi nazionalità. È il fanatismo che allontana la sinistra dal tornare a dire la sua sulla libertà, l'uguaglianza, il lavoro, il modello economico ma che anche più semplicemente contribuisce alla demolizione dei valori laici e universalistici. Fanatismo che rende verbalmente violenta quanto innocua la sinistra e la sua vocazione ad essere luogo di rappresentanza e di costruzione del cambiamento. È una fase di gigantesche trasformazioni che richiede una collocazione netta e non casuale. Per i riformisti la scelta della democrazia non è un accessorio. Quest'anno più della metà del mondo andrà al voto.

Oltre 4,2 miliardi di persone saranno coinvolte da elezioni regionali e nazionali. Nessun appuntamento elettorale è trascurabile ma ha particolare rilevanza quello che accadrà negli Stati Uniti e in Europa. Negli Stati Uniti Trump, nonostante il suo coinvolgimento nell'assalto a Capitol Hill, è in testa nei sondaggi. In Russia Putin dopo 25 anni auto-succederà a sé stesso.

Per quel che ci riguarda, maggiore attenzione e un minor provincialismo, che valgono sempre, questa volta, sono ancora più importanti vista la posta in gioco. Non esiste solo un problema di equilibrio a livello globale e commerciale tra Stati Uniti e Cina, lo scontro ha una portata più ampia. La politica estera è matrice della politica interna e disvela spesso le strategie e le intenzioni di fondo. La campagna elettorale globale è appena iniziata e chi crede nella democrazia, nel rispetto dei diritti e della dignità della persona non può permettersi di fare da spettatore. Eppure non se ne parla, la costruzione delle liste per le europee riflette maggiormente gli scontri interni ai partiti o la necessità di ricandidature. La destra ha un vantaggio, la “paura” è il sentimento che sta guidando le opinioni pubbliche in tutto il mondo. Per la guerra, per i migranti, per l'innovazione tecnologica. E La destra si nutre e rappresenta bene e meglio di altri questi sentimenti senza proposte concrete di governo. Sentimento che arriva all'ambiente. Dove pensiamo che coccolare l'ansia e l'estremismo sostituisca la necessità di una vera politica ambientale. La destra al Governo, accumula improvvisazione, errori anche gravi, un problema profondo di qualità del gruppo dirigente ma dopo due anni è ancora avanti e di molto. Le alternative si costruiscono sulla credibilità dei gruppi dirigenti di risolvere i problemi delle persone e non sugli artifizi per cavalcarli o negarli.

 

(da Il Riformista - 13 marzo 2024)

 

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