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Pm fuori ruolo, la verità di Palamara: “Rapporto magistratura-politica garantito da corrente sinistra, basta vedere i procuratori nazionali Antimafia”

 

Di Gian Domenico Caiazza

 

 

Sei stato per molti anni ai vertici della magistratura associata italiana, prima da Segretario Nazionale, poi da Presidente dell'A.N.M. Con quali Ministri della Giustizia hai avuto a che fare?

«Tanti, di ogni orientamento politico: Mastella, Alfano, Nitto Palma, Severino, ed infine Orlando».

 

Con ciascuno di loro hai dovuto dunque gestire il distacco dell'esercito di magistrati fuori ruolo (mediamente un centinaio) presso il Ministero di via Arenula (ed in misura meno invasiva ma comunque rilevante presso gli altri Dicasteri), che puntualmente si verifica quando si forma un Governo, di destra, di sinistra, tecnico che esso sia. Una prassi, lo ammetterai, assolutamente unica al mondo, la negazione direi quasi fisica del principio di separazione tra poteri dello Stato.

«Beh, il fenomeno è cambiato negli anni. Sono persuaso che il contributo tecnico di magistrati esperti sia prezioso per un Ministro Guardasigilli. Sono figlio di un magistrato che, in questi termini, ha svolto con onore il suo compito. Ma erano tempi diversi.

 

Concentriamoci sui distacchi presso il Ministero di Giustizia. Cosa è cambiato?

«La presenza dei magistrati presso il Ministero ha assunto un peso politico enorme, e le dinamiche interne alla magistratura, gli scontri e gli equilibri tra le varie correnti, hanno finito per essere un fattore condizionante ed assorbente del distacco dei fuori ruolo».

 

Né più né meno, mi pare di capire, di quello che accade per un partito chiamato ad appoggiare una maggioranza politica. Abbandoniamo ogni ipocrisia: un Ministro della Giustizia che voglia governare senza ostacoli e senza pagare prezzi anche molto alti deve avere, in questo Paese, l'appoggio della Magistratura.

«Non c'è il minimo dubbio su questo».

 

E dunque la composizione della compagine dei fuori ruolo è lo snodo cruciale nella costruzione di quel rapporto politico, di consenso o comunque di massima riduzione possibile degli eventuali conflitti con il potere giudiziario.

«Un Ministro della Giustizia che voglia governare davvero deve avere i canali giusti di dialogo con il mondo della Magistratura. Quindi la compagine dei fuori ruolo deve riprodurre gli equilibri consolidati in quel preciso momento storico nella Magistratura. Questo perché gli interlocutori del Ministro saranno ANM e CSM, rispetto ai cui assetti non vi è interesse a squilibrare la compagine dei ministeriali. Se portassi con me al Ministero solo magistrati della corrente più vicina politicamente al Governo, pagherei molto cara quella scelta. Quello che ad esempio accadde ad Alfano, che a parte eccezioni, si trovò in questa situazione a causa dell'ostracismo a Berlusconi di una parte della magistratura».

 

Il Ministro tuttavia sa poco di quegli equilibri, di come dosarli e dunque di quali magistrati in concreto scegliere

«E qui diventa cruciale il rapporto con ANM ed i suoi vertici. Si tratta di un momento di tessitura politica molto delicato, per il Ministro ma anche per il Presidente dell'Associazione».

 

Ma avranno pure un peso le scelte personali del Ministro, immagino

«Certamente per i ruoli apicali: Capo di Gabinetto, Capo del Legislativo, e i responsabili dei Dipartimenti Affari Giustizia, Organizzazione Giudiziaria e Amministrazione Penitenziaria. Anche se…» Cosa?

«Trattandosi di ruoli delicatissimi dal punto di vista politico, devono avere innanzitutto il gradimento del Quirinale, e poi, come dicevo prima, devono essere comunque armonizzati con gli equilibri correntizi interni alla Magistratura. Ti faccio un esempio: il Ministro Mastella scelse per il D.O.G. un magistrato di grande esperienza e competenza in materia di organizzazione quale Claudio Castelli, che era al contempo anche il riferimento forte di una corrente in grado di garantire equilibri e convivenza pacifica e collaborativa con il Ministro».

 

Oppure, Orlando che sceglie Melillo…

«Altro magistrato di qualità e di grande peso associativo, anche se in quel caso hanno influito rapporti politici territoriali: ti faccio notare che Orlando diventa Ministro della Giustizia dopo essere stato commissario del PD in Campania ai tempi in cui Melillo era aggiunto alla Procura di Napoli».

 

Bonafede disse: mandatemi i curricula

«Certo, come no!»

 

Nel tuo libro ricordi che la nomina dell'avvocato Paola Severino vi allarmò non poco

«Beh, un prestigioso avvocato penalista in via Arenula, in un governo tecnico, era una notizia meritevole di attenzione. Aggiungi che la professoressa come suo primo atto scelse quale capo di Gabinetto un magistrato milanese del tutto estraneo alle dinamiche correntizie. All'epoca condivisi con il rimpianto Loris D'Ambrosio, consigliere giuridico del Presidente Napolitano, l'impegno di creare un raccordo positivo e collaborativo tra la neo-ministra ed il mondo della magistratura. Credo di esserci riuscito».

 

E gli altri settanta o novanta magistrati fuori ruolo, chi li sceglie?

«Di quelli ovviamente il Ministro in linea di massima non sa nulla, non può avere la minima idea di chi siano, di quali competenze abbiano, e di come la loro scelta possa armonizzarsi con gli equilibri correntizi interni della Magistratura. Ecco allora che diventa cruciale il rapporto -anche personale- tra Ministro e presidente di ANM, il quale in questa fase decisiva coinvolge anche direttamente i segretari delle varie correnti. Naturalmente in questa fase pesano moltissimo dinamiche clientelari e di consenso interne alla associazione».

 

Cioè?

«Io Presidente ho un mio protetto, oppure ho ricevuto sollecitazione da una collega, anche di altra corrente, cui non posso dire di no se voglio acquisire un credito per i miei equilibri politico-associativi. Lo stesso vale per garantirmi consenso elettorale e politico sul territorio: favorisco un magistrato di Catanzaro, una di Palermo, uno di Milano. Ed il Ministro ha tutto l'interesse ad assecondare queste esigenze associative».

 

Formata la “squadra dei fuori ruolo”, A.N.M. avrà dunque un ruolo di assoluto protagonismo nella gestione amministrativa e politica del Ministero

«Senza dubbio. Ovviamente poi conta molto il rapporto tra Presidente ANM e Ministro. Il Presidente farà il duro quando interviene nel Comitato Centrale dell'Associazione, ma poi con il Ministro costruisce un rapporto molto più concreto, fattivo ed equilibrato».

 

E quindi?

«E quindi nessun Ministro penserà di avviare una riforma di grande impatto senza un sostanziale beneplacito di ANM. Se vuole farlo, avrà vita dura. Intendiamoci, il ruolo di interlocuzione è in sé del tutto legittimo, ma visti i rapporti di forza conseguenti alla organizzazione del Ministero, può diventare al bisogno un ruolo di pura interdizione politica. E questo non può non diventare un tema centrale di riflessione nella politica e nel Paese. Ma non dimentichiamo mai l'aspetto politico più significativo di questa complessa questione»

 

Ti ascolto

«Il rapporto della Magistratura con la Politica privilegia comunque, certamente a partire dai primi anni novanta, il maggiore partito della sinistra, visto come il garante più affidabile del potere giudiziario. Non si può parlare seriamente di nessun aspetto del complesso rapporto tra Magistratura e politica in Italia, ivi compreso il tema dei fuori ruolo, se si trascura questo dato di fatto. Basterebbe un esempio eclatante, tra i tanti. I Procuratori Nazionali Antimafia provengono tutti dalle correnti di sinistra della Magistratura, e a conclusione del loro mandato iniziano una carriera parlamentare o comunque politica sempre in quell'area di riferimento. Ed è difficile pensare che quest'ultima non ne tragga a sua volta concreti vantaggi nel rapporto con la giurisdizione».

 

(da Il Riformista - 11 Febbraio 2024)

 

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