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La falsa alternativa tra cesarismo di Palazzo Chigi e paternalismo del Quirinale

di Carmelo Palma

La soluzione ai problemi della democrazia italiana non può essere trovata dando semplicemente più poteri al governo o alla presidenza della Repubblica. Bisogna rinnovare il sistema dei partiti e ridare centralità al Parlamento

È decisamente difficile guardare alle polemiche sul premierato elettivo – proposta che è giunta alla terza, ma non definitiva formulazione – senza perdersi nel labirinto di piccoli particolari e di parolette messe e tolte per occultare o scoperchiare i doppi fondi normativi di una proposta, su cui i maggiorenti della destra, in particolare Salvini e Meloni, sostanzialmente giocano a fottersi, come fanno ormai su tutto.

Così vengono fuori testi ed emendamenti del governo che diversi ministri interpretano ufficialmente in modo diverso, come sta avvenendo sulla norma relativa ai possibili incidenti parlamentari del premier eletto sui ricorrenti voti di fiducia, che per la Lega non sono equiparabili a voti di sfiducia motivata e quindi non dovrebbero portare allo scioglimento delle camere, ma per Fratelli d’Italia invece sì, con il risultato grottesco e italianissimo di un articolato normativo double face, che può significare una cosa, ma anche l’altra – così è se vi pare.

Comunque finisca questa tenzone, la discussione sulla legge e l’inevitabile referendum rischiano di giocarsi su un’alternativa perniciosa e fintamente obbligata tra chi chiede che il padrone dei governi e delle legislature si trasferisca a Palazzo Chigi e chi invece vuole che rimanga al Quirinale, sulla base del principio – davvero tutto italiano – per cui gli equilibri politici, in una democrazia parlamentare, debbano avere una garanzia e una sorveglianza monocratica e non possano semplicemente farsi e disfarsi in Parlamento.

Il fatto è che in Italia, ormai da decenni, il Parlamento è considerato un parco buoi da macello o una massa di manovra di leadership carismatiche e illuminate, persuasive e direttive, proprio perché la rappresentanza politica è considerata in sé una contraffazione o un’usurpazione della vera sovranità popolare, che quindi può stare ovunque fuorché nelle aule dove siedono i rappresentanti del popolo.
Quindi, in un capo del Governo democraticamente investito dei pieni poteri o in un capo dello Stato transustanziato dal mandato presidenziale in un oracolo infallibile o in un Mahatma politico nazionale.

Tra i tanti bipopulismi in cui l’Italia si è impaludata c’è dunque anche quello costituzionale, che oppone i difensori del paternalismo quirinalizio ai sostenitori di un cesarismo para-presidenzialista. Peraltro che a sinistra stiano i primi e a destra i secondi è legato a contingenze storiche casuali, che recentemente, nell’alternanza delle coalizioni e poi nella tripolarizzazione del bipolarismo, hanno sempre fatto coincidere l’elezione dell’uomo del Colle con i periodi di governo della sinistra o con momenti di impasse istituzionale, che hanno portato alla proroga bipartisan del presidente uscente (prima Napolitano, poi Mattarella), originariamente eletto dalla sola maggioranza di sinistra.

Anche dei poteri cosiddetti a fisarmonica del Presidente della Repubblica, derivanti da norme e prassi consolidate e usate dai diversi inquilini del Quirinale con saggezza o con follia, a seconda dei casi, ma con una dinamica sempre più espansiva (e figurarsi quanto si espanderebbe un La Russa nell’ex palazzo dei papi e dei re), si deve dire che sono un unicum italiano, come quel premio di maggioranza elettorale che sembra il valore non negoziabile delle democrazie decidenti e invece è una cosa senza uguali nel mondo democratico internazionale, ma con un illustre precedente in quella non democratica nazionale: la legge Acerbo del fascismo. Unicissima e arciitaliana, ovviamente, sarebbe anche l’elezione diretta del primo ministro e la riduzione del Parlamento a una sorta di consiglio comunale nazionale.

Anziché trasformare la discussione su questa riforma e il referendum che ne seguirà in un ballottaggio tra Meloni e Mattarella, manco fosse un televoto sanremese, sarebbe bene che anche gli oppositori del premierato elettivo avessero e rendessero chiaro che il problema della crisi della democrazia italiana non si risolve al Quirinale o a Palazzo Chigi, ma nel sistema dei partiti, degradati a apparati di servizio di cari leader della Provvidenza e nel Parlamento, ufficialmente trasformato nella sputacchiera del popolo e delle élite e, anche per questa ragione, diventato sempre più un ricettacolo di avventurieri e di imbucati e un teatrino trasformistico.

Però, visto che il problema non è più chiaro neppure ai dirigenti politici, ai deputati e ai senatori, come mai questi potrebbero renderlo chiaro gli italiani.

(da www.linchiesta.it - 10 febbraio 2024)

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