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Breve commento

Sono ormai vari decenni che in Italia non si fa più una seria e concreta politica industriale. O meglio, non si fa più alcuna politica economica supportata da qualche strategia razionale. I più avveduti lo hanno peraltro ripetutamente denunciato.
Le più o meno improvvisate ipotesi di un ingresso del governo italiano nel capitale di Stellantis, di cui in questi giorni si vocifera, non fanno che far venire allo scoperto l'assenza di una seria strategia politica rispetto a situazioni che incidono non solo sull'occupazione, tema peraltro serissimo, ma ancor più sulla capacità del Paese di immaginarsi quale attivo protagonista dei grandi processi di trasformazione e di innovazione in cui siamo immersi.
La sensazione è che ormai i buoi siano scappati; sembra proprio che più che sedersi al tavolo delle decisioni, si sia iscritti al menu delle decisioni altrui.
Ormai Stellantis non è più una società italiana, al pari di altri importantissimi brend italiani, che sono stati ceduti ad investitori esteri che - ovviamente - hanno portato fuori dei nostri confini anzitutto i centri decisionali, e quando ritenuto opportuno anche parti più o meno rilevanti delle produzioni.
Sarà bene aprire gli occhi su questi fondamentali temi per il futuro del Paese, soprattutto affrontando con serietà, e non con vuoti slogan elettorali, i veri ostacoli che da noi frenano la capacità di fare impresa. Occorre rendere appetibile produrre in Italia: questa è la scommessa da affrontare e da vincere.

Paolo Razzuoli

L’Italia vuole investire 4,1 miliardi in Stellantis: strategia vincente o disastro economico?

di Redazione di www.ildifforme.it

La proposta di acquisire il 6,1% delle azioni Stellantis da parte del governo italiano si scontra con le parole di Carlos Tavares sulla mancanza di incentivi statali per l'acquisto di automobili, mettendo in dubbio la funzionalità di tale strategia

Il dibattito sull’eventuale ingresso dello Stato italiano nel capitale di Stellantis, colosso automobilistico nato dalla fusione tra Fiat Chrysler Automobiles (FCA) e Peugeot (PSA), continua a essere al centro delle discussioni economiche e politiche italiane.

 

La questione è stata sollevata di recente dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, il quale ha dichiarato che se Stellantis e il suo CEO Carlos Tavares ritengono che l’Italia debba seguire l’esempio della Francia (che ha aumentato la sua quota nel capitale sociale di Stellantis), il governo italiano è disposto a discuterne. Un’affermazione controversa, che solleva perplessità sull’effettivo guadagno che ne ricaverebbe il paese a fronte dei costi considerevoli richiesti.

Quanto denaro pubblico verrebbe investito?

Questa non è la prima volta che si pone l’ipotesi di coinvolgere lo Stato Italiano nella compagine azionaria di Stellantis. Già nel 2022, un anno dopo la fusione, il Copasir aveva sollevato la possibilità di valutare l’ingresso di Cassa Depositi e Prestiti nel gruppo per bilanciare l’influenza francese. Anche l’ex presidente del Consiglio, Romano Prodi, aveva espresso il pensiero che l’Italia avrebbe potuto seguire l’esempio francese, soprattutto considerando il prestito sostanziale di sei miliardi di euro con cui il governo italiano ha supportato la fusione tra FCA e Peugeot.

Tuttavia, l’operazione non sarebbe priva di costi significativi. Se il governo italiano decidesse di acquisire una quota del 6,1%, paragonabile a quella detenuta dal governo francese attraverso Bpi, dovrebbe sborsare la notevole cifra di 4,1 miliardi di euro, basandosi sui valori di Borsa attuali.

Inoltre, a differenza della Francia, dove il governo ha ottenuto un ruolo più incisivo nel consiglio di amministrazione di Stellantis, l’ingresso dello Stato Italiano potrebbe non garantire una presenza paritetica. Questo perché la Bpi ha ottenuto un aumento dei diritti di voto, arrivando al 9,9% dopo tre anni di possesso della sua quota azionaria. Di conseguenza, se lo Stato italiano acquisisse il 6,1%, il suo peso non sarebbe paragonabile a quello del governo francese.

La possibile strutturazione dell’ingresso dello Stato nel capitale potrebbe avvenire attraverso il Fondo nazionale Made in Italy, come proposto da un disegno di legge presentato da Urso nel giugno precedente. Tuttavia, è importante sottolineare che questo fondo investe esclusivamente nelle aziende con sede legale in Italia, mentre Stellantis è una società di diritto olandese.

Botta e risposta tra governo e Stellantis

L’ipotesi di un ingresso dello Stato Italiano nel capitale di Stellantis ha destato notevole interesse nei mercati finanziari, con un aumento del 2,2% del titolo in Borsa, portando il prezzo delle azioni a 21,2 euro al termine dell’ultima seduta a Piazza Affari. Gli esperti di Equita ritengono improbabile che gli attuali azionisti di Stellantis accolgano favorevolmente questa proposta, considerando la complessità e gli eventuali impatti sulla struttura decisionale del gruppo automobilistico.

Urso ha sottolineato l’impegno del governo italiano nei confronti di Stellantis, citando il supporto fornito in risposta alle richieste europee sull’Euro 7 e il piano di incentivi ecologici per il 2024, del valore di 950 milioni di euro. Tuttavia, il ministro ha anche espresso la necessità di rivedere la distribuzione degli incentivi, evidenziando che il 40% di essi è andato a Stellantis, di cui una parte significativa a modelli prodotti all’estero e importati in Italia.

Inoltre, da tempo il governo italiano critica Stellantis per le sue manovre di delocalizzazione dei prodotti italiani all’estero, cosa che porta alla chiusura degli stabilimenti in Italia. In risposta, Carlos Tavares ha difeso le decisioni aziendali affermando che le accuse del governo italiano sono “un capro espiatorio nel tentativo di evitare di assumersi la responsabilità per il fatto che se non si danno sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici, si mettono a rischio gli impianti in Italia“.

Possibili risvolti disastrosi

Attualmente, la situazione degli stabilimenti italiani di Stellantis, come Mirafiori e Pomigliano, è al centro delle preoccupazioni sindacali. Le riduzioni di produzione e la mancanza di assunzioni hanno sollevato interrogativi sulla stabilità occupazionale. Come affermato da Tavares, se il governo intende porre fine alla chiusura degli stabilimenti Stellantis in Italia, è imperativo che stanzi dei fondi per incentivare l’acquisto delle auto, in particolare di quelle elettriche dei marchi dell’azienda.

 

Il problema al momento non è dato dal fatto che in Italia non si vendano affatto auto elettriche, quanto il fatto che le auto elettriche prodotte da aziende europee costano molto. Pertanto, non avendo accesso a incentivi statali i consumatori preferiscono acquistare auto provenienti da aziende estere come la Cina, con prezzi più competitivi.

 

Alla luce di ciò, una retorica indirizzata unicamente all’acquisizione di azioni Stellantis da parte del governo italiano, senza aprire la strada a incentivi all’acquisto non sembra essere una strategia vincente. I consumatori che non possono permettersi un’auto elettrica, continueranno a non potersi permettere un’auto elettrica, e finanziare un’azienda così grande senza un piano che consenta l’aumento delle vendite dei beni che produce, potrebbe diventare la ricetta perfetta per un buco mangia soldi.

(da www.ildifforme.it - 4 febbraio 2024)

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