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Capodanno 2024: alcuni ragionamenti attorno alla democrazia e alle sue istituzioni

di Paolo Razzuoli

All'alba di questo nuovo anno provo a cimentarmi con un tema molto complesso e scabroso: quello della salute della democrazia e delle sue istituzioni. Tema che non riguarda pertanto esclusivamente l'Italia, ma che investe tutto il mondo che si riconosce nella democrazia rappresentativa e nelle sue istituzioni.
E' infatti di questa democrazia che tratterò, pur sapendo che storicamente anche in tempi recenti altre forme ne sono esistite quali, ad esempio, le cosiddette "democrazie popolari".
Io credo però che la democrazia o è liberale o non è democrazia. E' pertanto democrazia quella forma di governo basata sullo Stato di diritto, che garantisce integralmente i diritti umani e le libertà, che garantisce le libere elezioni dei governanti. Insomma quella forma di governo che, a partire dalla rivoluzione francese ha fatto, se pur con dolorose parentesi, dell'Occidente il propulsore del rispetto dei diritti fondamentali dell'essere umano.

Ma stiamo attraversando una fase storica in cui la democrazia non gode di buona salute.
Se nella seconda metà del XX secolo la democrazia viveva una fase espansiva - Nel 2000 ben 116 Paesi (il 69% del totale) erano considerati democrazie - nell'ultimo decennio abbiamo assistito ad una Diminuzione degli stati democratici con conseguente aumento di forme autocratiche.
Attraversiamo un'epoca di cambiamenti radicali che influiscono sui comportamenti individuali e sugli assetti socio-politici globali. Siamo immersi in un vero trauma della storia. I cittadini sono confusi e non si sentono rappresentati; votano più contro che a favore di qualcosa. Si afferma un'antipolitica rampante. I partiti hanno perso legittimità sociale e non riescono più ad avere il polso della situazione .

Per decenni, il connubio tra democrazia liberale e capitalismo ha garantito benessere e prosperità. Oggi, l'assetto politico ed economico dell'Occidente è minato da diseguaglianze, populismi e politiche identitarie. Invecchiamento e denatalità, una bassa crescita economica e flussi finanziari e migratori mal ponderati alimentano il disagio sociale. Contesti geopolitici, tecnologici ed energetici in rivoluzione fanno il resto, erodendo le democrazie dall'interno. Insomma, la minaccia proviene più dall'interno che da fattori esterni.
Le democrazie sono in affanno di fronte alle grandi sfide del tempo che viviamo: globalizzazione, immigrazioni, rivoluzione tecnologica, cambiamenti climatici e sostenibilità ambientale.
E a rendere il contesto ancor più grave, si sono aggiunte pandemia e guerra .

Un po' ovunque nel mondo occidentale si è sensibilmente abbassata la partecipazione al voto. Quando la partecipazione politica è bassa - come ad esempio da tempo in Italia - le sedi della rappresentatività - per esempio: le elezioni, il Parlamento - si sviliscono, il "capo" entra in rapporto diretto con il popolo e aumenta il rischio che venga manipolata la volontà dei cittadini. Di conseguenza, il consenso politico potrebbe orientarsi verso soluzioni hobbesiane di accentramento del potere.

Si ha l'impressione di trovarci di fronte all'avvio di un'epoca nuova, in cui la democrazia liberale - da tempo in crisi - potrebbe traballare sotto i colpi polarizzanti dell'autocrazia, e l'impero potrebbe riproporsi come sistema socioeconomico alternativo allo Stato-nazione (arrivano alla stessa conclusione autori di diversa estrazione ideologica, quali Hardt e Negri, 2000 e Ferguson, 2003). Il contesto - più che in evoluzione - è in rivoluzione: trattati e confini ignorati, violazioni del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite, ritorno della minaccia nucleare.

Un contesto che genera forti tensioni ed inquietudini, a cui la politica non sembra riuscire a dare risposte credibili, capaci di rispondere alle paure ed insicurezze del presente e, nel contempo, capace di immaginare una prospettiva di futuro.
Anzi, assistiamo ad una politica sempre più appiattita sul "giorno per giorno", incollata alla ricerca del consenso immediato, attenta sostanzialmente alla ricerca del consenso anche quando ciò implica promesse elettorali chiaramente improponibili. Insomma, una sorta di "dittatura del presente", ancorata al sondaggio del giorno, in cui non si può riconoscere quell'orizzonte di prospettiva che dovrebbe guidare ogni autentico statista.

Senza false indulgenze, va poi riconosciuto che In quanto sistema di governo, la democrazia rappresentativa ha importanti responsabilità su cui non si possono chiudere gli occhi. Un importante tema da approfondire consiste nel cercare di capire se tali manchevolezze sono inevitabili nell'evoluzione del sistema, oppure se si sono prodotte per l'insorgere di un virus malefico di fronte al quale si sarebbe potuto ergere una adeguata difesa di anticorpi.
Ma vediamo alcune di queste manchevolezze che necessitano al più presto di un serio sforzo al fine di rimuoverle:
- non è riuscita ad arrestare i processi di separazione fra le società reali e le istituzioni di governo;
- ha sacrificato sistematicamente il domani all'oggi;
- ha dimostrato incapacità di sviluppare e perseguire strategie di lungo termine, che si sviluppano su archi di tempo superiori alle legislature;
- non ha saputo adeguatamente rappresentare le generazioni future;
- non ha preteso la competenza dei candidati, né prima né dopo le elezioni, e ha mandato - non raramente - al governo dei dilettanti;
- ha consentito l'elezione a chi promette "tutto a tutti" e non ha squalificato chi ha preso impegni irrealizzabili, senza preoccuparsi delle conseguenze.

Un terreno quindi molto fertile per l'affermazione di un populismo che, promettendo soluzioni semplici a problemi complessi, mina ulteriormente il dibattito politico e ridesta desideri di "leader forte o di spinte sovraniste"; un ritorno a fantasmi di un passato che ha portato i peggiori drammi vissuti dall'umanità.
Un populismo anti-sistema si sta affermando in vaste parti del mondo. Negli ultimi anni, in molte parti del pianeta le sedi di rappresentanza democratica - partiti e Parlamento su tutte - si sono svilite. L'elite è percepita come casta privilegiata e corrotta. La frattura tra establishment ed elettori pare irreversibile. Attraverso un linguaggio semplice e diretto, i movimenti populisti conquistano un vasto consenso elettorale, presentandosi come i rappresentanti degli interessi del popolo contro una élite corrotta e distante dalle esigenze dei cittadini.

Il popolo, questo convitato di pietra nel quale, come la storia ci insegna, si è fatto tutto ed il contrario di tutto. Anche Stalin, Hitler e Mussolini dichiaravano di governare in nome del popolo!

Una democrazia che, aldilà della retorica, rischia di trasformarsi da "democrazia rappresentativa" in "democrazia recitativa". Una democrazia apparente insomma e - come ammoniva Efisio Melis - «Si può eliminare facilmente una vera dittatura, ma è difficilissimo eliminare una fìnta democrazia».

Ma torniamo un attimo sul populismo.
In realtà, come lo definisce il Professore ordinario dell'Università di Firenze Marco Tarchi, il populismo è una mentalità caratteristica. Le mentalità sono modi di pensare e di sentire più emotivi che razionali”. Se l'ideologia è riflessione, auto-interpretazione, la mentalità è una predisposizione psichica” nella quale prevalgono i sentimenti, gli umori e il carattere di un soggetto”.
Il termine sembra calzare alla perfezione per un fenomeno effettivamente più emotivo che razionale.
Quindi si può identificare il populismo come: una specifica forma mentis, dipendente da una visione dell'ordine sociale alla cui base sta la credenza nelle virtù innate del popolo, il cui primato quale fonte di legittimazione dell'azione politica e di governo è apertamente rivendicata.
È chiaro che il populismo può assumere forme e livelli di intensità molto diversi che dipendono da: i differenti significati attribuiti alla nozione di “popolo”, le circostanze strutturali in cui si verifica e le caratteristiche dei suoi attori. Questo perché il popolo (così come l'élite) sono delle “comunità immaginate” il cui oggetto varia notevolmente da un attore populista all'altro e anche all'interno della visione predicata da un certo attore. E, l'inclusione nella comunità organica, implica anche l'erezione di una frontiera che possa escludere i “nemici” del popolo.

 

A questo punto si impone la domanda su come fare per dare nuova linfa alla democrazia.
Una domanda a cui non è facile dare una risposta, in ragione della quantità e complessità dei temi richiamati.
Penso tuttavia che possano essere individuate due categorie di problemi che possono guidarci nell'immaginare alcune risposte.

La prima categoria riguarda il modello di sviluppo che dovrà offrire risposte credibili alle sfide della contemporaneità. Quindi dare risposte credibili al tema delle disuguaglianze, mostrare di saper gestire la globalizzazione, immaginare una strategia credibile e percorribile rispetto al tema della sostenibilità, saper gestire gli impatti della rivoluzione tecnologica a partire dall'intelligenza artificiale, saper mettere a fuoco politiche di gestione dei flussi immigratori, che ormai non sono più un fatto emergenziale bensì un dato strutturale.

La seconda categoria di problemi riguarda la credibilità della politica e delle istituzioni in genere. occorre un serio sforzo per recuperare un clima di fiducia fra elettori ed eletti, rilanciando e non svilendo il ruolo delle istituzioni della democrazia rappresentativa.
Quindi invertendo la rotta che tanto sembra affascinare oggi molte democrazie: abbandoniamo il miraggio del rapporto diretto del capo con le masse, e diamo nuova rappresentatività e dignità alle istituzioni, prima fra tutte il Parlamento.

Questa lunga analisi per introdurre la situazione italiana che, nei suoi aspetti generali, non differisce da quella di molti altri paesi in cui la democrazia rappresentativa è in sofferenza.
Alto è il rischio dell'impatto esplosivo fra crisi politica e crisi sociale.
Abbiamo un finto bipolarismo formato da forze eterogenee, concorrenti fra di loro, magari capaci di vincere le elezioni mediante patti elettorali, ma poi incapaci di governare poiché divise sui grandi temi strategici.
La crescita è anemica, la produttività ristagna. Aumentano l'inflazione e la povertà. In media, i cittadini sono sempre meno ricchi e sempre più diseguali. La popolazione invecchia. Le nuove generazioni soffrono. Per la prima volta dal dopoguerra, i giovani stanno peggio di chi li ha preceduti ed emigrano. La disuguaglianza si acuisce tra individui (disuguaglianza dei redditi) e tra padri e figli (disuguaglianza intergenerazionale). La "corsa dei singoli" - alimentata da egoismo, propensione ad apparire ed esasperazione dell'autoreferenzialità - disarticola il corpo sociale e porta a compresenza, non convivenza. L'immigrazione, mal gestita da governi di ogni colore, alimenta il disagio sociale.
E' cambiata anche la natura dello scontro politico: da quello tradizionale tra destra e sinistra con ben identificabili blocchi sociali di riferimento, si è passati ad uno scontro tra sovranisti ed antisovranisti e fra sostenitori di identitarismi non più radicati a blocchi sociali di riferimento, per cui a destra sembrano votare i ceti più poveri mentre la borghesia cittadina è più orientata a sinistra. I cittadini non sembrano saper valutare né interpretare la realtà; in Italia il 27,7% della popolazione, pur sapendo leggere e scrivere, è analfabeta funzionale. Aumentano le fake news. La fiducia nella classe dirigente è ai minimi, i partiti tradizionali sono scomparsi. Le aspirazioni dei cittadini sono sempre meno capite. Crescono rabbia, rigetto dello status quo, e voto di protesta di chi si sente tagliato fuori.
Un quadro che emerge non solo dalle urne, ma che viene confermato dai più seri studi statistici, ad esempio dell'Istat o del Censis.

Uno scenario di disagio che non può essere affrontato con scorciatoie istituzionali che forse potranno essere buone quali slogan elettorali, ma non certo utili per affrontare con serietà la complessità della situazione del Paese.
Certo le riforme possono aiutare, anzi direi che sono anche necessarie, ma vanno inserite in un contesto di totale ripensamento della qualità della politica.

Infatti, se non si troverà la capacità di affrontare in profondità il tema della qualità della politica (e della classe politica), nessuna riforma potrà consentire all'Italia di liberarsi dai lacci in cui sembra essersi impigliata.

Così va affrontato - a mio modo di vedere - il tema del premierato di cui oggi si parla.
Come in varie altre occasioni ho avuto modo di scrivere, prendo le distanze da coloro che si stracciano le vesti ogni qualvolta si tenta una riforma che rafforzi i poteri del governo e di chi lo guida. Lo dico ancora una volta citando Calamandrei: «Le dittature sorgono non dai governi che governano e che durano, ma dall'impossibilità di governare dei governi democratici».
L'errore consiste nel ridurre i problemi italiani al rafforzamento dei poteri del premier, mentre essi sono quantomeno di due ordini: certo le debolezze istituzionali, ma anche, e non di minor rilevanza, lo scadimento della qualità della politica.

Anche l'elettorato italiano è ormai fortemente influenzato dai tratti del populismo sopra descritti, germi avvelenati che, oltre a compromettere la coesione sociale, impediscono quella riforma della politica di cui non si può fare a meno.

Dopo anni di appelli al popolo, è forse giunta l'ora di un cambio di passo. Qui non si intende certo mettere in discussione la fondamentale conquista del suffragio universale. Non si pensa certo di porre orecchio alla "Epistocrazia", una democrazia riservata a coloro che possiedono certe competenze di base.
Si pensa tuttavia che stante gli elementi che possono influenzare l'elettorato, elementi anche non controllabili - come i social - in ambito nazionale, sia opportuno dare nuovo ruolo agli strumenti propri della democrazia rappresentativa, a partire dal Parlamento che di tale forma è la massima espressione.
Esigenza ancor più sentita laddove si consideri la crisi dei partiti tradizionali che, oltre a offrire una straordinaria opportunità di formazione politica, rappresentavano strumenti di mediazione fra società ed istituzioni.

E qui si pone a mio avviso una domanda: Può funzionare la democrazia senza i partiti?
La nostra Costituzione ne indica il ruolo all'Art.49 che così testualmente recita: "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale."
E' legittimo ritenere che in assenza dei partiti siano realtà non controllabili (quindi con metodo non democratico) a determinare gli esiti delle scelte politiche.

Delresto la democrazia è stata anche calpestata in modo palese, da leggi elettorali che impedendo agli elettori la scelta dei candidati, hanno di fatto delegato a poche decine di persone la "nomina" del Parlamento.

In questo scenario penso che più che al rafforzamento di organi monocratici occorra puntare alla riqualificazione degli organi di rappresentanza, in primo luogo quindi il Parlamento, rivalorizzandone altresì la funzione di sede della mediazione politica, che potrà assolvere purché ne venga recuperata la rappresentatività.

Congiuntamente al ripensamento della qualità della politica si potrà metter mano anche agli assetti istituzionali, non riducendoli al tema del premierato, ma pensando anche ad altri temi quali il superamento del bicameralismo paritario, una riscrittura del titolo V della Costituzione per riportare un po' d'ordine in una materia disastrosamente riscritta con la riforma del 2001 e, certamente, ripensando i poteri del Capo del Governo e la disciplina della fiducia/sfiducia.

Tornando al tema della qualità della politica, sono convinto che il punto di partenza è quello della ormai inadeguatezza di questo finto bipolarismo. SE è vero che siamo in una fase di imbarbarimento e radicalizzazione dello scontro, è dall'immaginare una cura di questi mali che occorre partire, puntando sul rafforzamento dei fattori centripedi di stabilizzazione del sistema. Ruolo a cui potrebbe essere chiamata la cultura liberal-riformista, se riuscisse a ritrovarsi attorno a strumenti politicamente adeguati.
Obiettivo che, a mio modo di vedere, può essere raggiunto solo tornando ad una legge elettorale di impianto proporzionale, certo con uno sbarramento in basso per evitare eccessive frammentazioni.
Sarà poi un Parlamento auspicabilmente reso più rappresentativo dalla possibilità di espressione delle preferenze, ad assumersi il compito della mediazione politica capace di produrre un accordo di maggioranza ancorato ad un programma condiviso.

Già sento piovermi addosso l'accusa di voler portare indietro le lancette della storia. Ebbene, niente di male qualora ciò venga consigliato da una seria analisi di contesto.
Rispondo con John Stuart Mill: " le regole non sono né dovrebbero essere di obbligo eterno, ma variano e devono variare più o meno da un'epoca all'altra, man mano che le coscienze delle nazioni diventano più illuminate e cambiano le esigenze della società politica».
Ebbene, proprio dalla valutazione delle profonde differenze fra questa fase e le precedenti, non ho alcuna difficoltà a dire che negli anni '90 ero sostenitore del maggioritario, mentre attualmente sono convintamente proporzionalista.
Mi si obietta altresì che in Parlamento non ci sono i numeri: ebbene, la storia ci insegna che certe scelte prima impossibili, con i mutamenti di scenario possono diventare possibili. E' però importante crederci ed immaginare gli scenari politici un po' oltre il proprio naso (alias tornaconto).

Avviandomi alla conclusione, in questo inizio del nuovo anno ho voluto affrontare il tema della democrazia giacché il 2024 vedrà due appuntamenti che fortemente ne influenzeranno i destini.
Prendiamoci nota di due date: la prima è quella dei giorni 6, 7, 8 e 9 giugno (per l'Italia il 9 giugno), in cui si voterà per il rinnovo del Parlamento europeo; l'altra è il 5 novembre, giorno delle presidenziali negli Stati Uniti.
La democrazia si trova come ad un bivio fra due strade che portano a mete deltutto diverse e lontane. Gli esiti di queste elezioni decideranno quali delle due strade imboccherà.

Lucca, 1 gennaio 2024

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