di Nicola Lattanzi. *
Come possiamo cambiare la nostra prospettiva sulla città e sui suoi elementi costitutivi per renderli più sostenibili, orientati al progresso e accessibili in modo equo? Bisogna educare al rispetto degli interessi collettivi, ma ci vuole tempo e capacità di fare scelte anche rischiose per il consenso.
Una delle misure utili è il coinvolgimento
degli stakeholder nella gestione dei beni comuni,
compresi i cittadini stessi.
I CityLab possono essere cruciali nella costruzione
di questa visione, con ricerche e analisi da diverse prospettive
La città è molto di più di un insieme di edifici, strade e infrastrutture. È il cuore pulsante di una comunità, un luogo in cui le persone vivono, lavorano, progettano, costruiscono, si incontrano e condividono esperienze. Questa visione è particolarmente tangibile nelle antiche città della Toscana. In loro si nasconde una complessità straordinaria, fatta di dinamiche sociali, economiche e politiche che sfuggono spesso alla percezione comune. Ma cosa significa accettare la visione di città come «bene comune»? Come possiamo cambiare la nostra prospettiva sulla città e sui suoi elementi costitutivi per renderli più sostenibili, orientati al progresso e accessibili in modo equo?
Immaginate di essere proprietari di un fondo commerciale nel cuore di una città medievale ricca di storia e bellezza, con visitatori in crescita di anno in anno. Avete affittato questo spazio all’offerta più vantaggiosa per ospitare un’attività commerciale, fra quelle molto diffuse nei centri storici delle città. Naturalmente, la vostra prima aspettativa è che l’affitto venga regolarmente pagato. Questo presupposto si basa sull’assunzione che l’attività economica del vostro inquilino prosperi, richiedendo una costante affluenza di visitatori, turisti o altri clienti, che scelgono di esplorare la città. Il proprietario del fondo, legittimamente, è ben consapevole della sua proprietà privata e sa come comportarsi per far valere il suo diritto. Perché lo è molto meno, o non lo è affatto, quando gli si chiede di occuparsi di altri aspetti del fondo nella sua veste di proprietario di un pezzo di città? E poi, di quali aspetti? Andiamo per ordine.
La città sta subendo una profonda trasformazione: da una sua interpretazione quale luogo composto da un insieme di proprietà private e con interesse privatistico prevalente, a quella di una visione quale luogo composto da un insieme di proprietà private che vede convergere — in una visione di insieme — l’interesse privato con quello pubblico generale, ossia il benessere dell’intera collettività. E il benessere della città molto dipende dalla capacità della stessa di sapersi organizzare per raccogliere i frutti che può offrire in termini di valore economico-sociale per i cittadini. E qui la questione, certamente ambiziosa negli intenti, si complica per motivi di vario genere, molti dei quali riconducibili alla relazione che intercorre fra la sfera della pubblica amministrazione e quella dell’amministrazione privata quando ci si confronta sul futuro e sul disegno strategico della città.
Vi sono, tuttavia, alcune misure di ausilio e
che si possono adottare. La prima è il riconoscimento
dei beni comuni. È fondamentale
che tutti i livelli di governo cittadino
riconoscano l’esistenza dei beni comuni,
che possono includere spazi pubblici,
parchi, biblioteche, edifici storici,
musei e monumenti, strade antiche e di
passeggio, tra gli altri. Riconoscere questi
beni come patrimonio collettivo è il
primo passo per poterli proteggere e gestire
nell’interesse della collettività.
La seconda è il riconoscimento della funzione
sociale della proprietà privata per la
città. La proprietà che fa perno sul concetto
di capitalismo progressivo — ovvero
un sistema economico che cerca di bilanciare
la ricerca del profitto con una
maggiore equità sociale e sostenibilità,
attraverso politiche e regolamentazioni
volte a ridurre le disuguaglianze, promuovere
l’accesso all’istruzione e all’assistenza
sanitaria e mitigare gli impatti
ambientali — è una risorsa in grado di
contribuire al benessere della comunità.
Questo obiettivo può essere raggiunto attraverso
specifici regolamenti e prescrizioni
a carico del proprietario che promuovano
investimenti e iniziative volte a
migliorare la qualità della vita nella città.
La terza è il coinvolgimento degli
stakeholder nella gestione dei beni comuni,
compresi i cittadini stessi. La partecipazione
civica dovrebbe essere incoraggiata
con comitati di cittadini, programmi
di volontariato e altre iniziative
che consentano ai residenti di partecipare
attivamente alla definizione del futuro
della loro città. Alcune città hanno sviluppato un «Regolamento dei Beni Comuni», che fornisce un quadro per la gestione
condivisa e l’uso dei beni comuni
urbani da parte delle organizzazioni civiche
e dell’amministrazione pubblica.
La quarta è il riconoscimento di un Ruolo
fondamentale al CityLab, che rappresentano
un approccio innovativo per affrontare
le sfide urbane. Questi laboratori urbani
favoriscono la collaborazione multi-disciplinare coinvolgendo una varietà di
attori, tra cui accademici, funzionari governativi
e organizzazioni locali. Il loro
obiettivo principale è produrre conoscenza
rilevante per le politiche pubbliche,
garantendo al contempo una solida
base accademica per quanto riguarda ricerca
e innovazione.
I CityLab svolgono un ruolo cruciale nella costruzione delle città come beni comuni. Come? Innanzitutto, conducono ricerche collaborative per approfondire la comprensione delle complesse questioni urbane. Coinvolgono esperti di diverse discipline per analizzare i problemi da diverse prospettive. Inoltre, collaborano strettamente con i decisori politici per co-produrre politiche pubbliche basate su dati concreti e input multidisciplinari. Questo approccio assicura che le decisioni siano basate su solide evidenze e tengano conto delle esigenze dell’intera comunità; se ben implementato, può contribuire a trasformare la città in un vero e proprio bene comune, in cui il benessere della comunità è al centro dell’attenzione. La co-progettazione e l’implementazione di progetti innovativi sono parte integrante di questo processo, permettendo di sviluppare soluzioni creative alle sfide urbane, compresa quella del turismo e dell’afflusso di visitatori in coerenza con il disegno strategico della città.
Nel nostro Paese vi sono città che hanno
sperimentato e stanno traendo beneficio
da una simile impostazione. Il tema dello
sviluppo della policy della città — nella
dimensione più ampia della capacità di
ricezione e accoglimento dei visitatori —
non può essere dissociato da questi
aspetti: occorrono tempi lunghi, certo,
ma si può agire da subito su più fronti.
Prendiamo il confronto del numero dei
visitatori della città, un parametro che se
in aumento è spesso associato ad efficienza
ed efficacia delle azioni del governo
cittadino. Un’associazione non condivisibile:
sarebbe come dire che aumentando
il numero dei clienti dell’azienda la
gestione è migliore. Ma non è così, in
quanto al crescere del loro numero, i costi
potrebbero aumentare più dei ricavi, e
dunque il margine ridursi. Occorre interrogarsi
sui costi da sostenere e comprenderne
la portata per evitare che il positivo
effetto di cassa, in genere immediato,
produca distorsioni nell’analisi.
La città è un bene che se non rigenerato
si consuma velocemente e deperisce. Occorre
il sogno di una città migliore: perché
migliore è la vita e la prospettiva che
offre ai suoi abitanti, perché alimenta la
rigenerazione, perché può avere una
grande forza e un grande appeal anche
per mantenere e attrarre le generazioni
più giovani, e soprattutto perché capace
di generare bisogni coerenti con il sogno.
Il governo della città diviene strategico
quando sviluppa e alimenta al proprio interno
le capacità dinamiche, ovvero
quando la pubblica amministrazione accompagna
e sviluppa intelligenze, conoscenze
e strumentazione innovativa: il rischio
è altrimenti che l’azione si limiti ad
interventi di natura assistenziale, emergenziale
o di sicurezza, compromettendo
lo sviluppo.
Che lezione trarne? Una prima, è che si può agire da subito, nella consapevolezza che alla fiducia riposta nella mano invisibile del mercato faccia riscontro quella posta in un’altra mano, anch’essa invisibile, ovvero l’educazione della società al rispetto del bene comune e la cultura che ne deriva e che sta alla base del senso civico. Ma ci vuole tempo, ecco perché deve essere accompagnata e sostenuta con convinzione dal policy maker impegnato nella policy design, anche con riforme e norme ad hoc, a cui serve coraggio. Perché si toccano interessi economici rilevanti e ingenti, con impatti più o meno significativi su diverse categorie produttive che rendono le proposte rischiose, soprattutto in ottica elettorale.
Una seconda, riguarda da vicino la regione Toscana,
in quanto la valorizzazione del suo
patrimonio dei sistemi urbani beneficerebbe
del processo di contestualizzazione
dei molti luoghi identitari e dal loro
collegamento, non
solo digitale, in una
proposta internazionale.
Ne gioverebbe il governo del flusso
dei visitatori; alle policy
cittadine servono
regole chiare, occorre il coraggio delle riforme, ad iniziare
dalla riduzione dei soggetti coinvolti nel
processo decisionale
che vede un’eccessiva
frammentazione di competenze fra una
sola Regione, una
Città metropolitana,
dieci province e 273
Comuni. La Toscana, unica per identità
territoriale, reputazione e visibilità ha
una duplice anima: le città più grandi e
internazionalmente esposte e i piccoli e
medi centri che fanno più fatica nelle retrovie.
A ben guardare, la Toscana stessa, che è
poi l’insieme delle sue città, ben si adatta
ad essere interpretata quale bene comune:
un bene comune, per l’appunto, che
se non rigenerato nella forza e nella sua
capacità di attrazione e ricezione rischia
di consumarsi e deperire velocemente.
* PROFESSORE DI STRATEGIA E MANAGEMENT PER I SISTEMI COMPLESSI
SCUOLA IMT ALTI STUDI LUCCA
(da Il Corriere Fiorentino - 2 ottobre 2023)