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    Restituire lo scettro al Parlamento. Restituire lo scettro ai cittadini.

 

di Berto Corbellini Andreotti

 

  Paolo Razzuoli nell'articolo "Alternativa al bipopulismo: una proposta da cui partire" ha lucidamente argomentato con serietà di riflessioni sulla virtù di "ridare dignità e rappresentatività alle istituzioni di democrazia rappresentativa, partendo ovviamente dal Parlamento".

 E' evidente che dobbiamo tendere ad avere: 1) rappresentanti qualificati, effettiva e chiara espressione dei cittadini elettori, che debbono poter scegliere personalnmente con il loro suffragio individuale,libero e segreto (altrimenti non sono più cittadini ma "regnicoli" come nello Statuto Albertino);

2) una rappresentanza parlamentare capace di assolvere alla sua funzione in un Parlamento non degradato a votificio, né umiliato dalla continua decretazione d'urgenza e dai voti di fiducia imposti dai governi.

 La dignità e la sovranità del Parlamento si ottengono solo se si affronta decisamente questo tema.

il Parlamento è il protagonista del processo di formazione delle leggi. Se l'iniziativa legislativa può essere esercitata anche dal Consiglio dei Ministri (sotto forma di disegno di legge e decreti-legge) e dal basso, dai cittadini con le proposte di legge di iniziativa popolare, sottoscritte da almeno 50000 elettori e da altri soggetti specificamente indicati con legge costituzionale (articolo 71), soltanto il Parlamento è il soggetto ed il luogo esclusivo in cui le proposte si discutono e si approvano. E' il livello rappresentativo della democrazia parlamentare, in cui la sovranità, di cui è titolare il popolo, trova modi, forme e contenuti di realizzazione. Legiferare, dunque; se allora il Parlamento è una vera officina delle leggi, questa attività deve essere ispirata a criteri direttivi che consistono sostanzialmente nel rispondere ad alcuni interrogativi: quali obiettivi si propone un provvedimento legislativo, quali problemi intende risolvere, quali errori vuole correggere, quali lacune vuole colmare? Il provvedimento integra altre leggi già esistenti e che si sono rivelate inefficaci, insufficienti, limitate oppure si sostituisce in modo radicalmente diverso?

 E' evidente che opportunità, ragionevolezza e buon senso debbono essere adottati nel riflettere sulla necessità d'emanare  l'atto legislativo. In conclusione si può affermare che il varo di una legge dovrebbe avvenire in presenza di una accertata necessità e di una argomentata convinzione che essa contenga in sè elementi concreti e virtuosi tali da sortire buoni esiti. Entrano in gioco quindi i coefficenti della quantità e della qualità per cui il Parlamento non può emanare atti legislativi in eccesso, in esuberanza, con ripercussioni dannose e con una configurazione patologica, macchinosa ed inutile del processo legislativo. Delegificare, pertanto, riportare la deliberazione legislativa al suo valore qualitativo più che quantitativo. Bisogna seguire l'esempio dell'imperatore Giustiniano che, secondo Dante, "dalle leggi trasse il troppo e il vano".

 Qui vengo al cuore del problema: l'azione del Governo con i decreti-legge ed il suo rapporto con il Parlamento. La Costituzione disciplina la materia nella lettera e nello spirito all'articolo 77. La decretazione è giustificata da ragioni d'urgenza e per ambiti di contingibilità, in relazione ad emergenze ed eventi imprevedibili e pressanti, effettivamente verificabili che, in assenza di un provvedimento tempestivo, potrebbero creare grave nocumento alla vita del Paese ed alle sue Istituzioni. La Costituzione vi aggiunge un elemento di freno e di controllo, nell'attribuire al Capo dello Stato l'esercizio discrezionale dell'autorizzazione, per evitare forzature ed abusi del potere esecutivo, a garanzia dell'equilibrato e stabile funzionamento degli organi democratici (articolo 87). Questa attribuzione è stata esercitata meritevolmente e saggiamente dai Presidenti della Repubblica che si sono succeduti. Cito solo un caso recente: il rifiuto di Napolitano ad autorizzare un decreto-legge promosso dal quinto Governo Berlusconi in fatto di diritti personali (caso Englaro). Ma il filtro dell'autorizzazione non è riuscito ad impedire il proliferare della decretazione d'urgenza, divenuta fenomeno sistematico e massiccio da lungo tempo, noto a tutti e da tutti deprecato (almeno a parole) e puntualmente, ripetutamente stigmatizzato dai vari Presidenti. Gli appelli, gli inviti e le sollecitazioni sono stati vani.

 Bisogna intervenire con una disciplina normativa di riforma costituzionale che prescriva gli ambiti e definisca modi e limiti d'esplicazione di questo potere. A titolo esemplificativo credo che i decreti-legge non possano essere adottati per temi complessi e di sistema quali una riforma di codici, una riforma pensionistica e, ovviamente, in campi che tocchino i diritti individuali. Al riguardo la proposta di revisione costituzionale del Governo Renzi del 2016 aveva il pregio d'affrontare la questione e può rappresentare un utile punto di riferimento e di ispirazione.

 Siamo arrivati al tema nodale: il rapporto esecutivo-legislativo, Governo-Parlamento si è alterato e distorto nel tempo e si sono progressivamente accentuate le tendenze, già insite nell'assetto costituzionale vigente, il carattere debole della funzione di governo, non in quanto subordinato all'indiscutibile controllo ed alla fiducia del Parlamento, quanto al suo depotenziamento, perché privato di strumenti efficaci per affermare il suo diritto di governare secondo il mandato espresso dal corpo elettorale, dal popolo sovrano. Al di là delle ragioni storiche e di principio che potevano giustificare, all'epoca costituente questo ruolo affievolito dell'esecutivo, oggi non ci sono più ragioni comprensibili per evitare di rimediare al difetto originario. Il giusto equilibrio fra Parlamento e Governo si può ottenere sia con il ricorso equo e motivato alla decretazione d'urgenza, sia con il riconoscimento di corsia preferenziale, di percorso agevolato a quei provvedimenti a cui il Governo attribuisce una peculiare importanza, perché attengono a materie e programmi su cui egli ha ottenuto l'approvazione popolare del voto e che ne costituiscono l'anima, l'essenza identitaria. Può e deve esserci un sistema di regole che definisca il confronto di idee, di proposte, di consigli, di suggerimenti, di riflessioni, a dimostrare la vitalità dell'organo rappresentativo e della democrazia parlamentare, al riparo da confusi assemblearismi, e da umilianti sudditanze gregarie.

 In un contesto simile anche il deprecato e sistematico abuso del ricorso al voto di fiducia verrebbe a perdere la sua natura dirompente e lacerante e ne cadrebbero le motivazioni.

 Si dirà che queste considerazioni possono valere sul piano concettuale ed astratto e che la prassi e ben diversa e assai piùcomplicata.

Le maggioranze parlamentari, anche quelle numericamente più solide e consistenti, sono profondamente minate al loro interno, trattandosi di coalizioni eterogenee, il cui comune denominatore è spesso più teorico che pratico; i partiti che le compongono sono condizionati e suggestionati dalla "visibilità", da far emergere ad ogni costo, dal bisogno di posizionarsi marcatamente su argomenti verso i quali l'opinione pubblica è sensibile, di dare rassicurazione al proprio elettorato. Da qui conflitti, scontri e faticosi, disordinati e poco affidabili accomodamenti, per cui i governi sono spesso tentati ad usare lo strumento del voto di fiducia per superare blocchi e veti decisionali.

E la discussione allora si sposta verso un altro livello: il carattere della democrazia rappresentativa parlamentare, la crisi dei partiti e il loro scomparire in quanto soggetti autorevoli e referenti sicuri d'aggregazione e di partecipazione, le liste elettorali bloccate, la sottrazione al corpo elettorale della scelta effettiva dei rappresentanti con l'eleiminazione del voto di preferenza e via di questo passo.

Fermiamoci qui, per adesso. Un insieme di misure, di norme, dai decreti-legge all'introduzione di corsie preferenziali per i disegni di legge caratterizzanti il programma di governo, la fissazione dei diritti dell'opposizione e di un più  efficace svolgimento del processo legislativo potrebbero servire ad ottenere risultati positivi, a meno che non si voglia continuare a lamentarsi, a condannare vagamente i "tempora" e i "mores", a battersi il petto. Machiavelli scriveva: "Cum parole non si reggono gli stati".

                      

Lucca, 5 ottobre 2023

 

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