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La via delle riforme costituzionali

 

Di Berto Corbellini Andreotti

 

Molto opportunamente Paolo Razzuoli è intervenuto di recente  con l’articolo “Obiettivo democrazia governante” in materia di riforme costituzionali. Ne condivido pienamente lo spirito e le argomentazioni e mi permetto di sviluppare alcune considerazioni non solo “Ad adiuvandum” delle sue opinioni ma anche per contribuire ad un approfondimento tematico.

Osservo che due riforme di “sistema”, ampie ed articolate, promosse dalle rispettive maggioranze e dai relativi governi dell’epoca sono state approvate e successivamente respinte dalle consultazioni referendarie: l’una, nel 2006, voluta dal centrodestra guidato da Berlusconi, l’altra, nel 2016, promossa dal centrosinistra, “consule” Renzi.

Una terza riforma di “sistema”, di profonda correzione del titolo V relativo alle autonomie locali, lanciata e sostenuta dal centrosinistra, ha avuto invece successo con il referendum confermativo del 2001.

Un’ulteriore, importante modifica, è intervenuta con la riduzione del numero dei parlamentari, cavallo di battaglia identitario del Movimento 5 Stelle, nel 2020.

Esiste una ratio desumibile dalla constatazione di questi risultati? Sicuramente. Essa è composita ed eterogenea: vi si combinano una feroce ostilità, ben oltre il merito dei contenuti delle riforme, contro le maggioranze dell’epoca ed i loro leader considerati tesi ad affermare in modo autoritario il loro primato personale, un radicato e diffuso “conservatorismo costituzionale”, motivato da forzature e pregiudizi ideologici (“la Costituzione più bella del mondo”, patrimonio della Resistenza e, in quanto tale, intoccabile), e generata anche dalla difesa pervicace di interessi e rendite di posizione di poteri interdittivi di ambienti e di gruppi in grado di condizionare il corso della politica (magistratura, sindacati, centri di spesa, mass-media ecc.).

Anche la riduzione quantitativa di deputati e senatori, di per sé ragionevole, ha assunto un significato populistico in nome di una presunta lotta contro la “casta” dei politici. Ragionevole in un sistema bicamerale, discutibile e probabilmente negativa in un sistema monocamerale, qualora si decidesse di orientarsi in questa direzione. Norma comunque isolata e che dovrebbe essere accompagnata da una revisione dei quozienti previsti per le varie nomine parlamentari, per evitare squilibri e scompensi (ad esempio per la richiesta dei referendum).

Infine la riforma del titolo V, che a giudizio largamente condiviso tra le forze politiche e nel mondo giuridico, ha prodotto un quadro faticoso e conflittuale di competenze con frequenti ricorsi in sede di contenzioso e non ha assolutamente agevolato un corretto e lineare rapporto tra Stato e Regioni. In questo caso le suggestioni federalistiche e la prospettiva secessionistica, a suo tempo agitata dalla Lega, hanno creato una situazione favorevole all’approvazione di norme che l’opinione pubblica ed il corpo elettorale non hanno capito se non superficialmente e non ne hanno percepito le conseguenze negative. E’ stata quindi una approvazione frettolosa e distratta.

Adesso il governo Meloni ha annunciato il proposito di una riforma in senso presidenziale con l’elezione diretta del capo dello Stato o del presidente del Consiglio e sta lavorando ad un testo da sottoporre al confronto nei prossimi mesi. Stando alle intenzioni dichiarate è auspicata la collaborazione delle opposizioni ma è confermata la volontà di procedere anche con la sola maggioranza.

Personalmente mi convince poco l’idea di puntare su un potere monocratico. Il Presidente della Repubblica ha attribuzioni rilevanti con il vigente ordinamento e possiede autorità sufficiente a svolgere il ruolo essenziale di garantire la tenuta del sistema, di indirizzarlo e di esserne un supremo moderatore ed equilibratore. L’elezione diretta non aggiungerebbe niente, salvo il fatto che un’ondata populistica potrebbe sollevare ai vertici della Repubblica personaggi mediatici ma privi della statura necessaria e delle virtù occorrenti. Quanto al presidente del Consiglio, definirlo “sindaco d’Italia” è semplicistico e riduttivo: si tratta di ordini di grandezza non comparabili. E del resto in nessun sistema costituzionale esiste una simile soluzione. E’ stata sperimentata in Israele anni fa, ma non ha funzionato ed è stata cancellata.

A parte questo bisogna soprattutto riflettere sulle questioni di metodo, di procedura e sullo spirito generale di una possibile riforma. Quali problemi vogliamo risolvere, quali difetti correggere, quali obiettivi raggiungere?

La stabilità di governo, intendendo con questa espressione la capacità di un esecutivo di durare per una legislatura e di mettere in essere le decisioni, le determinazioni, gli indirizzi programmatici, in tempi certi e ragionevoli, che ha assunto e per i quali ha ricevuto il mandato dal popolo sovrano. Vogliamo evitare il ricorso sistematico alla decretazione d’urgenza, che umilia il Parlamento; vogliamo evitare i pasticci di un governo assembleare e riportare il Parlamento al suo ruolo naturale: discutere, decidere, controllare, vigilare senza essere degradato a fabbrica di votazioni su provvedimenti già definiti altrove; vogliamo un processo decisionale snello, sollecito e significativo, in cui siano chiari ruoli e responsabilità; vogliamo una democrazia governante e non una democrazia consociativa.

Le scelte di modifica ordinamentale debbono allora essere valutate e verificate in relazione a quanto esposto, per assumere quelle più adatte, più adeguate e corrispondenti ai fini proposti.

   1) E’ bene ricordare che i sistemi costituzionali storicamente esistenti hanno una loro coerenza, coesione ed armonia interna; non si possono scomporre e ricomporre a piacimento; sconsigliano l’avventura di sperimenti mai avvenuti, scoraggiano mescolanze ibride fra gli uni e gli altri. Un sistema stravolto non regge e crolla inevitabilmente o si paralizza.

   2) A questa considerazione ne aggiungo un’altra importante: la delicatezza del compito e la portata di un’ampia riforma raccomandano la ricerca di una convergenza e condivisione più larga rispetto a una semplice maggioranza, oltre i consueti confini di una normale decisione. Soprattutto sono da evitare gli impulsi all’affermazione identitaria che pretenda di dare un’impronta di fazione alla Costituzione, proprio perché essa deve appartenere a tutti ed in essa tutti si debbono riconoscere. Non sarebbe un bene per il Paese se ogni maggioranza scaturita dalle urne intendesse imprimere il sigillo della propria supremazia per farsi una “propria Costituzione”.

   3) Un’ampia riforma non può concentrarsi solo sulla questione del presidenzialismo senza affrontare il tema del bicameralismo e di una ridefinizione soddisfacente dei rapporti tra potere centrale ed autonomie locali, visto l’infelice esito della riforma del titolo V. Deve esserci quindi uno sforzo per garantire la coerenza complessiva dell’opera riformatrice, che investa tutti gli aspetti dell’ordinamento.

   4) Infine dobbiamo tenere presente un avvertimento prezioso e realistico: non affidiamoci all’illusione del provvidenzialismo costituzionale, di credere cioè che il sistema più avveduto e saggio per regole e meccanismi possa spontaneamente produrre la buona politica.

  Le Costituzioni sono strumenti posti in mano agli uomini, imperfetti, mutevoli, condizionati da mille fattori, esposti a tutte le pulsioni e a tutte le tentazioni. Già Rousseau scriveva che tutto degenera in mano agli uomini.

Eppure le buone leggi creano abitudini, allenano all’esercizio di un costume, di una mentalità, influiscono sui comportamenti, provocano atteggiamenti virtuosi. E’ nella tradizione del pensiero politico da Platone a Gaetano Mosca la convinzione che il governo delle leggi può migliorare gli uomini. In definitiva un adeguato sistema di regole rappresenta un’opportunità storica per la rinascita della qualità della politica, per la sua credibilità e persuasività. Da solo non basta ma offre un contributo importante per rianimare il livello della partecipazione alla cosa pubblica, l’impegno dei cittadini ad assumere le dovute responsabilità e per configurare nuovi partiti, dotati di idee, energie e programmi all’altezza dei tempi.

 

Lucca, 9 giugno 2023

      

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