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Quei giorni del ricordo che ci rendono tutti un po' più italiani

 

Di Federico Bini

 

Ci sono stati uomini che forse non meritavano di finire così. Lo narra la storia, lo tramandano i popoli, lo percepiscono i cuori dei più sensibili.

Sono stati lasciati andare via come aquiloni colorati verso il cielo. Ci hanno lasciato un vuoto incolmabile. Nei nostri cuori e nelle nostre vite. Forse perchè ci erano simpatici, forse perchè ci somigliavano o forse semplicemente perchè ci costruivano il futuro. Ci mostravano fiducia e noi li abbiamo amati.

Non lo meritavano di morire atrocemente, come bestie selvagge della foresta, cacciate senza pietà da bracconieri rabbiosi, solo perchè erano i nostri miti, i nostri esempi, le nostre speranze, la nostra giustizia terrena.

Li hanno uccisi. Eliminati come i peggiori nemici, mentre uscivano di casa per recarsi a lavoro, mentre salivano in auto, oppure gli hanno fatti esplodere, non pensando mai che si è sempre difronte alla vita di altre persone, di persone umane come noi.

Ma il potere logora, affascina ed uccide. Così la droga, il denaro, la salvaguardia del proprio comando, non guardano in faccia nessuno, accecano la vista, offuscano la mente,  portano a commettere atti disumani a cui molte volte la razionalità umana si ferma e lascia posto all'istinto animalesco.

Ogni ostacolo lo si abbatte. Si distrugge. Si disintegra, con una forza prorompente e rimbombante che scuote i nostri animi ed appanna i nostri occhi impietriti e lucenti. Sono caduti fiumi di lacrime, urla disperate che provenivano dal profondo del cuore, vite strappate che ancora dovevano iniziare a vivere e sognare. Madri e padri allontanati da figli appena nati. Famiglie semplici, come tante, spezzate per tutta la vita.

Natali e compleanni diventati tristi momenti di ricordo. Anniversari sempre più dolorosi che riaprono ferite mai cancellate ma spesso provate a dimenticarle per la sola sopravvivenza quotidiana. Per sopportare un dolore troppo grande. Per concedere ai figli rimasti orfani, un sorriso, una carezza di amore e metterli piano piano difronte alla triste realtà di una vita severa, ingrata ed inspiegabile. Una vita che ci pone sfide all'apparenza impossibili da sostenere e sopportare.

Ma pur non volendo si va avanti, si procede il nostro cammino terreno, tra gioie, dolori e speranze.

Giorni sfumati nel pianto. Ore passate seduti su una scricchiolante sedia con il volto bagnato dalle lacrime, in cui si stringe tra le mani tremanti una foto e si pensa al sacrificio di un figlio morto  che serviva valorosamente lo stato, il suo stato. Martiri da morti, ma morti che camminavano in vita. Eppure coraggiosi e pieni di entusiasmo servivano il magistrato, il comandante, il colonnello, che come loro sapendo dei rischi, dimostravano all'Italia che c'era anche chi nel sistema voleva dimostrare il proprio orgoglio e la propria fierezza nello svolgere il proprio ruolo al meglio e con la convinzione che con il tempo si poteva invertire quella triste e brutale tendenza secondo cui '' i migliori se ne vanno sempre''.

Purtroppo, la tendenza non è cambiata. Sono passati anni, secoli e stagioni, eppure chi se ne è veramente andato era proprio lui, il magistrato coraggioso, il poliziotto fedele, il generale rigoroso ed il cittadino onesto.

Ed a noi cosa è rimasto ? Niente, solo immagini, ricordi e qualche mite barlume di speranza, che è subito travolta da una società troppo veloce e confusionaria, per farci mettere a riflettere un secondo su ciò che è stato e su ciò che potrà essere il domani, senza i nostri miti, i nostri personaggi simboli, i nostri eroi. Ma non chiamiamoli eroi,  non lo avrebbero gradito, poiché non hanno fatto altro che svolgere il proprio dovere con normalità e rigorosità. Questo è un po'  il loro messaggio, il loro lascito; in una società anormale, hanno svolto un compito normale. Per questo forse sono stati capiti ed esaltati solo da morti ma mai da vivi !

Ed ecco che il magistrato che sorride pieno di amore alla conferenza diviene il simbolo di una generazione, il giornalista ucciso barbaramente diviene l'emblema di verità e trasparenza, oppure il generale baffuto ucciso terribilmente, diviene l'immagine della scarsa volontà di una parte dello Stato nel combattere certi fenomeni criminali, molte volte più sfruttati che combattuti.

Il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Un devoto cittadino italiano e Generale poi, che compiva il proprio compito “per poter guardare serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli”.

Ma Dalla Chiesa come Pecorelli. Pecorelli come Dalla Chiesa. Il generale ed il giornalista, due figure come tante, troppo pericolose che potevano destabilizzare legami, posizioni chiave e personaggi troppo potenti per stare a guardare che in un giorno come tanti, potessero bussare alla loro porta, di qualche importante palazzo del potere e venire arrestati o indagati, in quello che era quel viaggio alla ricerca della verità e giustizia che in molti intraprenderanno, ma che in molti troveranno proprio, forse in gran parte di quelle eleganti e massicce porte dei palazzi che contano, troppi ostacoli e falsi aiuti che erano stati promessi, ma che in realtà non erano solo che velleitarie illusioni per far credere che si, qualcuno ancora c'è che vuol bene al suo paese.

Come pellegrini alla ricerca della luce divina, si immersero in questo mondo oscuro, nero e maligno che pensavano di conoscere. Vi si immersero con coraggio, volontà e tenacia. Sacrificando affetti, passioni e semplici attività quotidiane.

Sapevano bene quali erano i rischi che correvano, sia umani che professionali. Persero tutto, la vita, l'amore e la speranza, ma quei corpi assassinati e sanguinanti,  passarono alla storia come l'immagine di un paese, di uno stato che uccide e lascia uccidere i suoi figli migliori.

Non meritavano di morire. Furono abbandonati. Alla fine erano uomini soli al comando che lottavano contro chi nemmeno si sarebbero potuti  immaginare di combattere.

Gli amici diventarono nemici, i nemici amici. Tutto si confonde. La fiducia si mescola al sospetto. L'indiscrezione diviene prova. Le certezze si sgretolano in un istante in brutali incertezze. Niente è come sembra.

I silenzi divengono assordanti. Il sole del risveglio può essere l'ultimo. La sigaretta accesa, fumata con più gusto come se fosse l'ultima e la più buona. Poichè oggi ci siamo, ma domani...chissà!

Un vortice infinito di intrighi, false apparenze, fantasmi ed inganni che protegge il più grande e potente dei sistemi criminali, ma che ha inghiottito ogni singolo che volesse combatterlo.

E' qui che sta una chiave di lettura :  in ogni singolo, nella loro solitudine, nel loro involontario isolamento. Un sistema così forte, radicato e potente non lo si combatte con qualche singolo uomo, lo si combatte con innumerevoli mezzi, di ogni tipo. Dagli organici aumentati, ai mezzi informatici, ai fondi per le indagini così delicate, alla collaborazione tra le istituzioni, alla sensibilizzazione culturale ed educativa, al significato etico del proprio dovere.

Nessuno però gli dette niente. Si accontentarono delle loro macchine da scrivere, calcolatrici, fogli bianchi ed un po' ammuffiti e semplici penne. Con questi mezzi colpirono il centro del cuore criminale.

Tra notti insonni, caffè e fumi grigiastri di sigarette sempre in bocca, ricostruirono quel legame nero che lega mafia, stato e criminalità. Eppure...Morirono soli. Senza mezzi , abbandonati al loro crudele destino,

con una frase vecchia e polverosa che torna a risuonare in molte menti : “se avevano detto che c'era la libertà”.

 

Lucca, 8 settembre 2012

 

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