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SEMPLIFICARE LA COMPLESSITA’, COME?

Di Antonio Rossetti

L’argomento che tiene banco, da molti anni, è il sistema elettorale nel nostro Paese e la ricerca di un sistema che semplifichi la complessità.
Una complessità che si va sempre più articolando in piccole formazioni che non hanno niente dei partiti, in senso costituzionalmente definito o comunque come organizzazioni rappresentative di interessi, con strutture organizzate, con regole democratiche per la definizione dei programmi e di scelta delle persone da proporre per l’assunzione di incarichi e quindi di responsabilità politiche ed amministrative.

Il modello di partito strutturato appare superato da altri modelli che si riferiscono a partiti leggeri, senza struttura e con un leader autodefinitosi tale, o un padrone, senza iscritti, senza tessere e spesso senza voti..
Strumenti che appaiono cartelli per la suddivisione del finanziamento pubblico.

Si invoca la stabilità, e la si confonde con la governabilità , che è cosa sostanzialmente diversa.
Ci sono governi stabili, anche al livello locale la legge 81/93, ha reso molto, troppo stabili, i governi locali, ma si può affermare che questa abbia contribuito alla realizzazione di atti concreti di governo nell’interesse delle città e dei cittadini, considerata la disaffezione e il distacco non si può affermare, e comunque il rischio che restino in carica amministratori che hanno oggettivamente procurato dei danni è del tutto evidente.

Le scelte di privatizzazione di servizi di pubblica utilità, lo svuotamento di potere dei consigli a favore delle figure monocratiche, hanno favorito scelte utili alla società?, la corruzione è diminuita? Eppure gli esempi di questi giorni non ci portano a dare giudizi positivi.

Tornando al sistema elettorale e dei poteri, la discussione si è estesa alla verifica dei sistemi in altri Paesi, e qui tutti avevano un modello da copiare, qualcuno come Franceschini ( vice Veltroni) si lamentava di non avere un presidente alla “francese”, e lo nominava, dopo due settimane si è saputo che ai francesi il gradimento del loro Presidente è passato da 71, al 42%. Altri pensano alla Germania, la Spagna, o al Nord Europa.
In Italia, il proporzionale puro, aveva generato molti partiti, di solito nelle elezioni politiche avevamo 11 liste alla Camera e 9 al Senato, dopo anni di lavoro e l’introduzione di modelli nuovi per ridurre il numero dei partiti, oggi siamo vicini a venti sigle.

La mia preferenza per il proporzionale, nasce dalla convinzione che non si possa impedire per legge di presentarsi alle elezioni, salvo i correttivi di sbarramento, che non impediscono alle idee di misurare il consenso, e che sia compito dei cittadini elettori stabilire se dare rappresentanza o no alle formazioni politiche che si presentano con uomini e programmi al giudizio del voto.
Il premio di maggioranza non mi convince. Chi era contrario alla legge del 1953, legge così definita truffa dovrebbe riflettere nel proporre qualcosa che è ancora più grave nell’assegnare di fatto voti non ricevuti dagli elettori. Il premio sono i voti, e il voto vale uno, non due o 1,5.

Tutti i tentativi di fare della stabilità la condizione per governare e non la capacità di governare come condizione per creare consenso e quindi stabilità, possono finire solo a generare confusione, salvo non vi sia chi pensa davvero a sistemi diversi da quello democratico parlamentare e immagina soluzioni che si avvicinano più a sistemi totalitari, più o meno mascherati, nella convinzione che è bene decidere in pochi, e magari uno può anche bastare.
Se è vero che in tempi di cambiamento non si può stare fermi c’è davvero il rischio che si pensi di proporre modelli già utilizzati altrove e che in quei Paesi sono considerati da correggere o sostituire, con il paradosso che alcuni paesi sceglieranno il sistema che altri scartano.

Rappresentare una realtà sociale complessa, con particolarismi sempre più evidenti e con difficoltà di sintesi anche su gravi emergenze, richiede un maggiore coinvolgimento e partecipazione alle scelte, il contrario dell’esclusione.

Lucca, 1 febbraio 2008
Antonio Rossetti

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